Giuseppe Mazzini

Giuseppe Mazzini

Se imparare dal passato aiuta (o almeno dovrebbe…) a capire meglio il presente e ad evitare errori futuri, chissà che una più approfondita conoscenza della vita, del pensiero e dell’azione degli uomini politici di ieri, non ci conduca a sceglierci meglio i rappresentanti di domani…

Per adesso purtroppo, poiché da questo punto di vista in Italia siamo messi male, molto male, non resta che consolarci con i grandi personaggi di un’epoca trascorsa neanche troppo tempo fa, sebbene l’abissale differenza di slancio ideale e di capacità pratica che li distingue, faccia apparire la classe dirigente attuale distante anni luce da quella che fu artefice dell’Unità del Paese soltanto un secolo e mezzo fa.

L’articolo seguente, che scrissi per notizie.it, raccoglie le informazioni biografiche essenziali su Giuseppe Mazzini, un uomo il cui operato non fu esente da critiche, anche pesanti, ma che rappresenta indiscutibilmente una delle personalità cardine della nostra storia politica ottocentesca.

 

 

Giuseppe Mazzini in prigione a Savona riceve la visita del padre

Giuseppe Mazzini in prigione a Savona riceve la visita del padre

Giuseppe Mazzini nacque a Genova nel 1805 da famiglia borghese: il padre Giacomo era un medico di idee politiche filo-giacobine, la madre Maria Drago era una donna profondamente religiosa che contribuì non poco alla formazione umana ed etica del figlio, improntata a un rigido rigorismo morale e intellettuale.

Come molti altri giovani coetanei di idee fortemente patriottiche, Mazzini si iscrisse alla Carboneria; tuttavia, l’esperienza si rivelò per lui del tutto deludente, soprattutto perché non trovò all’interno dell’organizzazione un programma realmente soddisfacente e attuabile, difettando, in base alla sua opinione, di ampio e condivisibile respiro nazionale.

Nel 1830 giunse l’arresto e la reclusione nella fortezza di Savona; l’esperienza, sebbene dura dal punto di vista umano, si rivelò utile e anzi fondamentale per la maturazione del suo pensiero politico, che dopo lunga e ponderata riflessione, anche facendo tesoro del proprio vissuto e della generale situazione italiana, decise di improntare all’azione e alla lotta aperte, senza segreti e nascondimenti di alcun genere.

Quando Mazzini, assolto per insufficienza di prove, fu posto di fronte alla scelta tra domicilio coatto ed esilio, optò per la seconda alternativa e si trasferì a Marsiglia, dove iniziò in modo sistematico la sua opera di propaganda ed educazione politica.

Nel Luglio del 1831 Mazzini inviò una lettera al nuovo re sabaudo Carlo Alberto, incitandolo a guidare gli italiani contro l’Austria senza confidare nell’appoggio di altre potenze straniere; per tutta risposta il nuovo sovrano diede ordine di far arrestare Mazzini nel caso avesse messo di nuovo piede in terra piemontese, atto che fece perdere nel genovese ogni residua fiducia su un possibile aiuto da parte di Carlo Alberto.

I fatti di Modena e dell’Italia centrale del 1831 scossero profondamente l’animo e la coscienza del Mazzini, spingendolo una volta per tutte a lanciare una sfida alle dinastie tradizionali e a smascherare le vere intenzioni delle nuove monarchie dette liberali, che nascondevano, esattamente come in passato, le manie espansionistiche dei principi.

Principi e monarchi che, secondo Mazzini, erano attorniati da politicanti incapaci e poco attenti alle esigenze e alle legittime aspirazioni popolari, riferendosi anche allo stesso Cavour, che considerava un abile giocoliere al servizio della monarchia sabauda.

I moti del ’31, secondo il pensiero mazziniano, se da una parte avevano messo finalmente in luce le vere intenzioni dei nuovi monarchi, dall’altra, avevano anche positivamente dimostrato il valore e il coraggio di tanti cittadini disposti al sacrificio di se stessi per un ideale; da tale consapevolezza nacque a Marsiglia la Giovine Italia, che si rivolgeva apertamente a tutti gli italiani, quindi alla Nazione. 

Nel Luglio del 1831, Giuseppe Mazzini fondò a Marsiglia la Giovine Italia, il cui programma, basato sui due fondamentali principi di Dovere e Progresso, era aperto a tutti, poiché rivolto all’intera Nazione.

La Rivoluzione Francese era stata fondamentale, secondo il pensiero mazziniano, perché aveva giustamente affermato e proclamato i diritti dell’uomo, ma si era fermata a metà strada in quanto i soli diritti non potevano essere sufficienti al progresso morale e politico dei popoli, né potevano bastare alla creazione di stati retti da governi nazionali e democratici.

I diritti dovevano necessariamente essere completati dai doveri per essere efficaci; i doveri, a loro volta, necessitavano di azione e sacrificio, traducendosi, di fatto, nelle insurrezioni popolari contro le tirannie e il dispotismo dei governanti.

Il Dovere, nel pensiero politico di Mazzini, diveniva quindi fede nell’idea della Patria, e si inseriva in una più ampia visione religiosa del mondo, intesa come totale adesione dell’individuo a un’idea superiore.

Gli uomini, spinti da questa volontà superiore e divina a superare naturalmente la propria individualità per integrarsi in una realtà omnicomprensiva ed organica, portavano al Progresso, sintesi di divino e umano,di individuale e nazionale.

La concezione politica di Mazzini era pertanto inscindibilmente legata alla tematica religiosa; popoli e individui ricevono da Dio una missione, che per il popolo italiano consisteva nella realizzazione di Unità, Indipendenza, Libertà, da raggiungere attraverso l’iniziativa popolare, l’autoattività e l’autogoverno, cioè la Repubblica, vista come ideale forma di comando di una Nazione.

Pensiero e azione costituiscono nella concezione politica mazziniana un binomio indispensabile alla formazione di una vera coscienza nazionale; all’Italia spettava pertanto un rinnovamento morale per compiere la propria naturale missione, quella di iniziatrice della resurrezione e confederazione dei popoli.

Attratti dalle idee mazziniane, molti giovani dell’epoca intrapresero azioni contro i governi, ma quasi tutte ebbero una tragica fine.

Nel 1833 fu teorizzata un’insurrezione che avrebbe dovuto insorgere in Piemonte contro Carlo Alberto, ma un banale incidente la bloccò sul nascere scatenando una dura repressione: dodici patrioti furono condannati a morte, tra questi Andrea Vochieri ed Efisio Tola, Jacopo Ruffini si suicidò in carcere e molti furono gli esuli.

Nel Febbraio 1834 fu organizzato un moto in Savoia, ma anch’esso fallì sul nascere: un gruppo di patrioti agli ordini del generale Ramorino sarebbe dovuto entrare in patria ma furono commessi errori e gli insorti furono facilmente dispersi; contemporaneamente fallì l’insurrezione che sarebbe dovuta scoppiare a Genova guidata da Giuseppe Garibaldi, salvatosi rifugiandosi su una nave in rotta per l’America.

Dopo il misero fallimento dei moti insurrezionali, Mazzini comprese che l’Italia non era ancora matura per questo tipo di azioni, e nell’Aprile del 1834 fondò la Giovine Europa, organizzazione che tuttavia restò sulla carta senza mai divenire una realtà concreta.

Ad un certo momento della propria vita e attività politica, Mazzini attraversò un periodo di crisi che lo condusse a una riflessione profonda e sentita del proprio ruolo di teorico e patriota: il suicidio dell’amico Ruffini e la morte di tanti ragazzi rapiti dalle sue idee intristì il suo animo e lo pose di fronte a una serie di inquietanti interrogativi sull’opportunità di proseguire o meno lungo la strada intrapresa (periodo che gli storici chiamano della tempesta del dubbio); infine, persuaso dall’idea che la vita è per tutti una missione, decise di continuare la lotta politica così come l’aveva concepita e iniziata.

Nel 1837 Mazzini si rifugiò in Inghilterra dove riprese la propria attività; nel 1844 un altro tentativo di insurrezione finì tragicamente.

I fratelli Attilio ed Emilio Bandiera, ufficiali della marina austriaca conquistati dalle idee mazziniane, credettero fosse giunto il momento opportuno per un’insurrezione in Calabria; in realtà, Mazzini non era dello stesso avviso e sconsigliò i giovani di intraprendere un’azione che giudicava troppo pericolosa.

Non fu ascoltato.

Una ventina di giovani temerari partì da Corfù e sbarcò presso le foci del Neto; una spia avvertì la polizia che li circondò e li sopraffece.

Nove ragazzi furono uccisi nel Vallone di Rovito, vicino Cosenza (Giugno 1844).

La critica più frequentemente rivolta a Giuseppe Mazzini e soprattutto al suo pensiero politico, è quella di essere stato un teorico troppo spesso avventato e velleitario: il disegno politico che aveva concepito non era attuabile concretamente nell’Italia di quegli anni, per molte ragioni conosciute da lui stesso.

Eppure non esitò ad insistere nei tentativi insurrezionali, che però non erano ancora sufficientemente condivisi e opportuni, e nonostante il loro tragico fallimento continuò a perseguire la rischiosissima strada intrapresa, sottovalutando l’inutile perdita di giovani vite: numerosi furono i ragazzi, che invaghitisi delle idee da lui teorizzate e diffuse, si gettarono in un’impresa più grande di loro, senza capirne le reali difficoltà e senza rendersi conto della loro enorme pericolosità.

Nel 1870 Mazzini fu rinchiuso nel carcere di Gaeta e poi condannato di nuovo all’esilio, tuttavia, usando il nome falso di Giorgio Brown, riuscì a rientrare a Pisa e a nascondersi per un breve periodo di tempo nella casa di Pellegrino Rosselli, ove morì il 10 Marzo del 1872.

La notizia della sua scomparsa si diffuse rapidamente in Italia suscitando un’ondata di grande emozione e risvegliando inevitabili rigurgiti di orgoglio nazionale: una folla immensa partecipò ai funerali del patriota e filosofo, che fu sepolto nel cimitero monumentale di Staglieno, dove a tutt’oggi riposa (Articolo tratto da: notizie.it) (Foto da: gerogesblog.files.wordpress.com e 150anni.it).

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About the Author: Maria Paola Macioci